Il contratto di associazione in partecipazione
L’attività d’impresa molto spesso richiede la collaborazione tra più soggetti e la modalità giuridica della collaborazione rappresenta una dei primi step da risolvere.
Non sempre la costituzione di una società di capitale o di persone è la strategia migliore.
Sia per la vastità degli affari da gestire insieme che per la durata temporale.
Un istituto giuridico molto utilizzato ed alternativo alla costituzione di una società è l’associazione in partecipazione.
Il contratto di associazione in partecipazione permette un collaborazione economica e finanziaria fra soggetti diversi con lo scopo di ripartire il risultato economico degli affari condivisi.
Tra l’altro risulta molto utilizzato quando un’azienda od un professionista vogliono condurre uno specifico affare con altri soggetti per un determinato periodo di tempo.
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Diritti e doveri dell’associante
Il titolare dell’impresa è l’associante sul quale ricade le responsabilità per gli atti compiuti.
In altri termini l’associante è l’imprenditore su cui ricade l’iniziativa economica.
Ai sensi dell’art. 2552 del codice civile gli obblighi dell’associante sono principalmente:
- dirigere l’attività dell’impresa secondo buona fede;
- non assumere iniziative tali da mutare il rischio valutato dall’associato all’atto della stipula del contratto;
- non distrarre senza il consenso dell’associato i beni aziendali dalla loro destinazione;
- dare inizio all’impresa, se questa non esiste, investendo l’apporto dell’associato.
Diritti e doveri dell’associato
L’associato è il soggetto che interagisce e co-partecipa al singolo affare con l’imprenditore associante.
Inoltre è colui che può apportare capitali, e dunque assume la veste di finanziatore esterno dell’impresa.
La sua figura può essere inquadrata principalmente come investitore di capitali nell’impresa altrui.
Il suo ruolo può essere tranquillamente anche quello di apportare lavoro.
Tra i diritti dell’associato si annovera il controllo sulla gestione delle operazioni compiute dall’associante.
Il contratto di associazione di apporto di solo lavoro è stato negli ultimi anni oggetto di attenzione da parte del legislatore che ne ha limitato decisamente la possibile utilizzazione.
Soprattutto quando l’associato non possiede la partita Iva, il contratto di associazione può risultare molto pericoloso.
Può costituire una forma di evasione dalle tutele contrattuali in materia di diritti del lavoro e può essere attaccato dagli organi di controllo fiscale per finalità elusive.
In ultimo l’associazione con apporto di solo lavoro, è una tipologia contrattuale costantemente sorvegliata anche da parte dell’INPS.
Il contribuente nel regime dei minimi come associato in partecipazione
Il contribuente minimo che percepisce un reddito in qualità di soggetto associato in partecipazione che apporta solo lavoro, può adottare il regime agevolativo.
La legge 244 (articolo 1 comma 96) stabilisce che non è possibile erogare compensi nei confronti di associati in partecipazione.
Non viene chiarita però la compatibilità di associato con quella del contribuente minimo.
Altro aspetto da non sottovalutare consiste nel fatto che il contratto di associazione in partecipazione sia stato stipulato successivamente all’apertura della posizione Iva rispetto al caso di stipula contestuale all’inizio dell’attività professionale del contribuente minimo.
Nel primo caso non crea il dubbio che tale attività professionale possa costituire mera prosecuzione dell’attività precedentemente svolta sotto forma di lavoratore dipendente o autonomo, ricordando che laddove sorga la “mera prosecuzione” la stessa sarebbe causa di esclusione al regime dei minimi.
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