Che cos’è il contratto di associazione?
Se due soggetti ritengono opportuno esercitare un singolo affare o più genericamente un’attività d’impresa questa può essere esercitata oltre che mediante la costituzione di una società di capitali o di persone, anche mediante un’associazione in partecipazione.
Il contratto di associazione in partecipazione è una collaborazione fra due parti.
Lo scopo è ripartire il risultato economico di tutta la gestione, limitandone però, per alcuni dei partecipanti all’affare (finanziatore e/o lavoratore), il rischio imprenditoriale.
In estrema sintesi, si può sostenere che due parti sceglieranno di utilizzare l’istituto giuridico dell’associazione in partecipazione, quando la collaborazione per un singolo affare od un’attività d’impresa, non sembra avere quei requisiti di stabilità che porterebbero invece a scegliere lo strumento societario.
La differenza giuridica tra i due suddetti contratti sta nel fatto che la società costituisce sempre un ente collettivo distinto dalle persone dei soci, con una vita autonoma, una distinta autonomia patrimoniale e con una propria personalità giuridica.
L’associazione in partecipazione invece non possiede mai personalità giuridica.
La dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono che l’associazione in partecipazione si differenzi dal contratto di società per due motivi:
- per la mancanza nella prima figura di un autonomo patrimonio comune;
- per la titolarità dell’impresa sociale, la quale spetta al solo associante.
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La disciplina del contratto
Il contratto di associazione in partecipazione è disciplinato dalle norme contenute nel Libro V («Del lavoro»), Titolo VII («Dell’associazione in partecipazione»), del Codice civile, art. 2549 e segg.
L’associazione in partecipazione è considerato in dottrina ed in giurisprudenza quale contratto di scambio.
L’apporto dell’associato entra a far parte del patrimonio dell’associante, confondendosi con esso, in modo tale da costituire la garanzia di tutti i creditori, anche quelli personali dell’associante.
Si faccia attenzione però alle conseguenze di tale apporto.
Il rischio massimo che l’associato può correre è la perdita del suo apporto, nei soli casi però in cui partecipi alle perdite dell’associazione, e queste si manifestino almeno in misura uguale al valore dell’apporto stesso.
La Cassazione, su questo punto, ha affermato che dalla coordinata lettura degli artt. 2553 e 2554 cod. civ., si ricava il divieto di partecipazione dell’associato alle perdite in misura superiore al suo apporto.
Mentre le parti hanno facoltà di determinare la partecipazione alle perdite in misura diversa da quella della partecipazione agli utili, ovvero di escludere del tutto la partecipazione alle perdite.
La figura dell’associante
La gestione dell’impresa spetta all’associante sul quale ricade esclusivamente la responsabilità per gli atti compiuti.
Ai sensi dell’art. 2552 cod. civ., gli obblighi dell’associante sono principalmente quelli di:
- dirigere l’attività dell’impresa secondo buona fede, osservando la diligenza del mandatario;
- non assumere iniziative tali da mutare il rischio valutato dall’associato all’atto della stipula del contratto;
- non distrarre senza il consenso dell’associato i beni aziendali dalla loro destinazione;
- dare inizio all’impresa, se questa non esiste, investendo l’apporto dell’associato;
- consentire l’esercizio dei diritti di controllo sulla gestione, nonché quelli previsti dal contratto, spettanti all’associato.
La figura dell’associato
L’associato può essere una persona fisica o una persona giuridica.
Può essere un soggetto con partita Iva o meno.
L’associato ha diritto al rendiconto della gestione dell’impresa o dell’affare in vista del quale ha eseguito il suo apporto.
Generalmente l’associato in partecipazione è :
- un finanziatore esterno dell’impresa;
- un investitore di capitali nell’impresa altrui che partecipa al rischio della stessa con la possibilità di perdere l’intero suo apporto.
Ma l’apporto dell’associato può essere un altro: una prestazione di lavoro, anche gestorio.
L’associato quale contribuente con partita iva nel regime dei minimi o nel regime forfettario
Le norme che regolano il regime fiscale forfettario e quelle che regolava il regime dei minimi, non sono preclusive alla stipulazione di un contratto di associazione in partecipazione nella qualifica di associato.
Anzi, le persone fisiche che iniziano un’attività d’impresa o un’arte o professione quali associati devono analizzare se ricadono nel regime forfettario di determinazione del reddito , modificato dalla legge di Stabilità 2016.
Il regime forfettario è, dal periodo d’imposta 2016, il regime fiscale naturale per coloro che possiedono determinati requisiti.
Il regime forfettario taglia l’aliquota dell’imposta sostitutiva, per i primi cinque anni di nuove attività, dal 15 al 5%. Vediamo i requisiti dell’associato con partita Iva per poter adottare il regime forfettario.
I requisiti del forfettario
Possono fruire del regime forfettario gli imprenditori individuali, comprese le imprese familiari e le aziende coniugali e gli esercenti arti e professioni non in forma associata.
Non possono avvalersi del regime forfettario le persone fisiche che nell’anno di applicazione della disciplina in esame:
- si avvalgono di regimi speciali ai fini dell’Iva, o di regimi forfettari di determinazione del reddito;
- effettuano, in via esclusiva o prevalente, cessioni di fabbricati o porzioni di fabbricati, di terreni edificabili di cui all’articolo 10, del Dpr 633/1972, o di mezzi di trasporto nuovi di cui all’articolo 53, comma 1, del Dl 331/1993;
- partecipano contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone o associazioni di cui all’articolo 5 del Tuir ovvero a Srl a ristretta base proprietaria che hanno optato per il regime della trasparenza fiscale, di cui al successivo articolo 116.
- sono conseguiti ricavi o compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a determinate soglie.
- sono sostenute spese per prestazioni di lavoro per un importo complessivamente non superiore a 5.000,00 € lordi;
- il costo complessivo dei beni mobili strumentali, al lordo degli ammortamenti, non è superiore a 20.000,00 €.
Applicazione dell’aliquota del 5%
Coloro che iniziano una nuova attività possono avvalersi della riduzione dell’aliquota al 5 %, da applicare al reddito determinato forfettariamente, a condizione che:
- non sia stata esercitata, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività, un’arte, o professione, o un’attività d’impresa, anche nell’ambito di imprese familiari, società o associazioni professionali;
- non venga proseguita l’attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, fatta salva la pratica obbligatoria professionale;
- non sia proseguita un’attività d’impresa svolta da un altro soggetto che abbia realizzato, nell’anno precedente a quello di partenza del nuovo regime, ricavi superiori al limite stabilito per accedere al regime forfettario.
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